La salita

Il passo è buone, il ritmo è buono. Il fiato c’è. Siamo a 10 metri dalla partenza, sono davanti io, i bambini sono dietro. Sono preoccupato, ma felice. 

Sono due settimana che esco tutte le mattine. Faccio l’anello di Lurisia a piedi per farmi un po’ di fiato. Già che ci sono raccolgo anche le cartacce. Sono circa 3 km, la metà in discesa, la parte facile, l’altra metà in salita, la parte quasi impossibile. Tutto condito dal su è giù per raccogliere. I primi giorni molto difficile, l’ultimo pezzo di salita un incubo. Poi con meno spazzatura da raccogliere, quindi meno abbassati e alzati, e forse un po’ più di fiato, solo difficile.
La situazione è la solita. Emoglobina fra 10 e 11, deficit respiratorio al 30%. Ma le scarpe da tennis non lo sanno. Raccogliere la spazzatura mi ha aiutato un sacco, mi ha distratto, mi ha fatto sentire meglio e dato un senso un po’ più civico alla camminata. A metà della risalita, con la scusa del caffè e delle due chiacchiere, prendevo fiato al bar.

Pensavo di essere pronto.

Rallento, mi manca il fiato. Non voglio fermarmi, ho paura di non ripartire. Non voglio fermarmi, non voglio che i bambini mi vedano così. Altri 10 metri di salita e poi vediamo. Se rallento il passo, ci arrivo. Sono preoccupato. Non voglio che gli altri inizino a chiedermi se va tutto bene, se voglio che mi portino lo zaino. Non voglio che i bambini mi vedano sconfitto da una salita che loro fanno correndo e urlando. 

Lo so, o meglio, dovrei saperlo, le mie condizioni sono particolari. Esami del sangue sballati, chimica a chili e quasi 10 anni che non faccio niente. Ma io amo la montagna, amo le passeggiate in montagna. Voglio che i bambini si ricordino di queste passeggiate insieme. A loro poi la scelta se amarle.
Voglio che si ricordino del bosco, del prato, del panorama, del ruscello. Non voglio che si ricordino della mia fatica.

Perché l’ho fatto? Perché mi sono illuso di poterlo fare, perché non voglio essere realistico? Perché? 
Non ho più fiato. I passi sono lenti, gli occhi confusi, l’andatura traballante. Il cuore batte in testa e nelle orecchie. Ho paura. Non c’è più il bosco, ci sono solo immagini del passo successivo, il panico di collassare. La mente cerca il dopo. Chiama l’ospedale più vicino, l’elisoccorso, ma soprattutto i bambini spaventati. Le cose da dirgli per calmarli, per dargli sicurezza di un padre, di un padre come gli altri. 
Mi fermo, mi appoggio, prendo fiato. Torna un po’ di lucidità. Prima o poi arrivo.

È stato così anche ieri, perché ci sono ricascato oggi? Perché non imparo? Tutti avrebbero capito, sono loro che me lo suggeriscono, che me lo chiedono. Dai oggi facciamo qualcosa di tranquillo, niente salite. Lo dicono col cuore.
Non prendetemi in giro, le mie salite non sono quelle per arrivare in cima a una montagna, sono quelle che gli altri papà fanno con i figli e lo zaino sulle spalle.
Loro non c’entrano, è la mia ostinazione.

Odio tutti, chi è venuto con me e mi vede cedere, chi non mi ha costretto a non partire, ma soprattutto odio me, odio come sto. Odio cosa mi è successo.

Senza fiato, col cuore in gola, con la vista appannata, con la vergogna del fallire, mi trovo nudo davanti alla mia realtà. Quella realtà che combatto tutti i giorni, quella realtà con cui lotto tutti i giorni perché sia diversa. Quella realtà che anche adesso non riesco a dire.
Quasi tocco il fondo. Quasi crollo.

Sono arrivato. Ci sono riuscito. Ho ancora paura, ma è finita. Respiro, mi calmo. Torna il bosco, il prato, il lago, tornano le voci dei bambini. Mi tolgo lo zaino, mi siedo per terra, bevo. Tutto bene. 

Scatto due foto, ma non vengono bene. Voglio una panoramica. Mi guardo in giro, ecco, da la verranno benissimo. Mi alzo e prendo quel sentiero. È in salita.

Questa mi piace.

Nella fotografia originale, ingrandendola, si vedono i bambini che giocano in riva al lago, con loro ci sono gli amici che in questa estate di salite mi hanno accompagnato, sopportato, ma soprattutto aiutato a vivere la realtà che voglio. Persone speciali che amo, che battono nel mio cuore. Che sono state quel qualcosa che mi ha permesso di non toccare mai il fondo, che mi hanno permesso di non crollare a metà della salita, a meta della mia vita. Persone che durante la salita ho odiato, come ho odiato me. Persone che in cima alla salita ho amato.

Questa estate con le sue salite mi ha insegnato ancora una volta, che la differenza sono sempre le persone che ci circondano.

Siamo come alberi nel bosco.

3 pensieri su “La salita”

  1. In certi contesti le parole a commento di un testo meraviglioso risultano insufficienti, o al contrario esuberanti, comunque inutili. Allora taccio, e mi limito a mandarTi un abbraccio forte, ma forte davvero. Quelle poche ore passate insieme quest’estate sono state bellissime. Non vedo l’ora di reincontrarti. Ti voglio bene. Gianni

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